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Un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna ha sequenziato l’intero genoma di un campione di persone dai 105 anni in su. I risultati pubblicati sulla rivista hanno dimostrato che i soggetti che hanno raggiunto i 100 anni di vita hanno un corredo genetico che renderebbe l’organismo più efficiente nella riparazione del DNA. Un processo, quest’ultimo, in grado di proteggere il genoma da danni e mutazioni negative.
Gli studiosi hanno individuato elementi genetici che permettono di limitare i disturbi legati all’età e avere quindi una vita molto lunga.
Sono stati studiati 81 persone semi-supercentenarie (con un’età superiore ai 105 anni) e supercentenarie (con più di 110 anni di età) provenienti da tutta Italia. Il loro genoma è stato messo a confronto con quello di 36 persone adulte in buona salute, con un’età media di 68 anni, provenienti dalle stesse aree.
Lo studio evidenzia che gli over 105 hanno cinque variazioni genetiche connesse all’aumento dell’attività di un gene (noto come STK17A) in quattro ambiti: cuore, polmoni, sistema nervoso e tiroide. Tale gene è coinvolto in tre importanti funzioni che garantiscono la salute delle cellule: il coordinamento della risposta in caso di danno al DNA, la spinta verso la morte cellulare programmata per le cellule danneggiate e il controllo di specie reattive dell’ossigeno, la più diffusa tipologia di radicali liberi. Si tratta di processi fondamentali per la salute dell’organismo che, se rallentati o alterati, possono portare allo sviluppo di malattie, cancro in primis.
Non solo. Le variazioni individuate sono legate anche all’attività di un altro gene (il COA1) noto per un ruolo rilevante: quello di garantire il collegamento tra il nucleo cellulare e i mitocondri, gli organelli responsabili del corretto metabolismo energetico delle cellule. Il disfunzionamento di tale processo è proprio un fattore chiave dell’invecchiamento.
«Alcuni studi realizzati in passato avevano già messo in luce che per diverse specie animali la capacità di riparazione del DNA è uno dei meccanismi che favoriscono la longevità: con questa nuova ricerca abbiamo dimostrato che ciò è vero anche per gli esseri umani», dichiara Cristina Giuliani, ricercatrice al Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna e tra i coordinatori dello studio. «I dati ottenuti – spiega ancora la ricercatrice – suggeriscono che le caratteristiche che permettono ad alcune persone di diventare semi-supercentenarie ed oltre sono in parte legate ad una particolare variabilità genetica, grazie alla quale è possibile gestire in modo più efficiente i processi di riparazione del DNA».
Il gruppo di ricerca ha poi misurato il numero di mutazioni genetiche somatiche accumulate naturalmente in diversi gruppi di età. Coloro che superano i 105 anni presentano un numero di mutazioni molto inferiore rispetto a quanto atteso. Le persone estremamente longeve, dunque, riescono ad evitare l’aumento di mutazioni dannose solitamente collegate all’avanzare dell’età e a stati patologici: un elemento che potrebbe contribuire a proteggerle dall’insorgere di malattie comuni, come ad esempio i disturbi cardiaci.
«I risultati di questo studio suggeriscono che efficienti meccanismi di riparazione del DNA e la presenza di un basso numero di mutazioni somatiche in geni specifici sono due elementi centrali nel proteggere le persone estremamente longeve dalle malattie legate all’età», conferma Claudio Franceschi, professore emerito dell’Università di Bologna, tra i coordinatori dello studio.
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